A sei chilometri dal centro di Civitavecchia, nelle campagne di contrada “Santa Lucia”, sorse, nel 1930, il Campo di Poligono Chimico Militare, oggi Centro Tecnico Logistico Interforze – CETLI NBC – sito di stoccaggio nazionale per le armi nucleari, batteriologiche, chimiche e radiologiche. Un’area militare di circa 150 ettari, ricadente nei comuni di Allumiere, Civitavecchia e Tarquinia.
L’intera area è sottoposta a vincolo di Zona di Protezione Speciale – ZPS – ciò non ha impedito alla giurisdizione militare di costituire presso il CETLI la sua industria per la dismissione dell’Arsenale di Stato e di tutte quelle armi non convenzionali lasciate sul territorio italiano durante i due conflitti mondiali: aggressivi chimici quali l’iprite, la fenil-dicloroarsina, il fosgene, la lewisite, l’adamsite, la difenil-cloroarsina e i gas nervini G e V.
La Convenzione sulle armi chimiche – CAC – firmata a Parigi nel 1993 proibisce lo sviluppo, la produzione, l’immagazzinaggio ed uso di armi chimiche a scopo bellico e ne impone la loro distruzione. Dal maggio 2009 sono 188 i Paesi ad aver ratificato all’ONU la Convenzione.
Non solo armi italiane che il destituito regime fece seppellire in fretta e furia nella nuda terra del Poligono nel 1943, ma anche ordigni lasciati sulla penisola dagli Austriaci nella Prima guerra mondiale e dai Tedeschi e dagli Alleati nella Seconda guerra mondiale.
Nello scenario internazionale il CETLI ricopre il ruolo di host per il sud Europa e quindi tutti i ritrovamenti di armi non convenzionali o materiali radiologici in Italia e durante le missioni all’estero dai nostri NBC o dalle forze ONU e NATO sono trasferiti presso il CETLI.
Tali ordigni sono stati sino ad oggi disattivati, con un lavoro lento e pericoloso. Radiografate le ogive, per intuirne il contenuto e la struttura, le stesse vengono private della spoletta e dell’esplosivo ed inserite in un sistema automatizzato, che le congela, le incide e ne estrae il gas tossico, rendendolo inerte con una miscela di ossidanti chimici e sabbia. La polvere che se ne ricava, resa incapace di divenire volatile e disperdersi nell’ambiente, viene quindi incamerata in monoliti di cemento, che da anni attendono ammassati in un piazzale all’aperto, nel contesto del CETLI.
Risposte ufficiali del Ministero della Difesa affermano che il CETLI sarebbe in condizioni di esaurire il carico delle armi chimiche presenti nel sito entro il 2022, salvo ulteriori rinvenimenti.
Voci incontrollate ma ricorrenti affermano inoltre che il CETLI si appresti a spedire il cumulo di monoliti prodotti sino ad oggi in miniere di sale del Centro Europa, ove si provvederebbe ad interrarle in maniera similare alle scorie nucleari.
Sembra però che il CETLI abbia negli anni accolto anche proiettili da artiglieria con cariche al fosforo bianco (del genere utilizzato dagli Statunitensi nell’attacco di Falluja). Si tratta ufficialmente di armi convenzionali, in quanto teoricamente adoperate per illuminare il campo di battaglia. Se fatte brillare a bassa quota esse si rivelano terribili aggressivi chimici, capaci di provocare ustioni profonde sulla pelle raggiunta dalla polvere di fosforo. Tali armi non sarebbero gestibili con la metodica sino ad oggi utilizzata per gli altri ordigni e da qui nascerebbe, nella nostra ipotesi, la necessità di realizzare un “ossidatore termico”, ossia un inceneritore.
La notizia, sembra a seguito della segnalazione di un parlamentare locale, è stata recentemente pubblicata dal Fatto Quotidiano ed ha destato parecchia preoccupazione in città.
L’ipotesi dell’inceneritore ha improvvisamente ridestato l’attenzione della cittadinanza che stranamente invece sonnecchia dinanzi a domande scottanti quali:
- Come arrivano in città gli ordigni? Con quale mezzo di trasporto?
- Quali precauzioni vengono prese per prevenire incidenti e pericoli lungo il tragitto?
- Qual è lo stato di conservazione degli ordigni da trattare?
- L’ipotesi inceneritore serve a fornire una soluzione rapida a ben altro problema?
La giurisdizione militare del CETLI rende difficile qualunque tentativo di pretendere trasparenza da parte delle Forze Armate. Ma è legittimo osservare che ridurre il problema dell’insediamento militare ad un semplice si o no all’inceneritore rappresenti una visione semplicistica del problema.
Nel 2012 il Vice-Ministro agli Affari Esteri De Mistura dichiara ufficialmente ” […] il rapido deterioramento dell’impianto, causato dalla forte corrosione dovuta al ristagno dei prodotti chimici impiegati nelle reazioni nei periodi di forzata inattività allorquando il materiale da distruggere è ancora insufficiente per mettere in funzione l’impianto […] ”
Il CETLI esiste a poche centinaia di metri da una realtà urbana devastata, ormai da decenni, da un numero inusitato di fonti inquinanti: la centrale termoelettrica a carbone di Torrevaldaliga Nord (Enel), quella a turbogas di Torrevaldaliga Sud (Tirrenopower), il Porto, i depositi costieri di carburante ex-ItalPetroli, la Torre petrolifera, i depositi di carbon-coke di Tarquinia.
Questa dissennata politica gestionale ha già compromesso grandemente il territorio in termini di inquinamento dell’aria, dell’acqua, del suolo e gli effetti sulla salute sono già oggetto di cruda contabilità.
Certamente la costruzione dell’inceneritore diversificherà i rischi collegati alla presenza dello stabilimento, aggiungendone di nuovi. Le possibili ricadute sulla salute non possono essere sottovalutate. La cittadinanza ha quindi il diritto di sapere, di ricevere informazioni complete e non manipolate con finalità da campagna elettorale.
Foto di Enrico Paravani ©