Che cosa succede in città?
Questa estate e precisamente il 31 luglio 2019, arriva al Comune di Civitavecchia (e a tutti i comuni della Città Metropolitana e della provincia di Viterbo) una comunicazione della Soprintendenza Archeologica Belle Arti e Paesaggio, di chiarimento in merito agli adempimenti relativi alle norme del Codice del paesaggio (D.Lgsl 42/2004) e della cd legge Madia (DPR 31/2017)
La Soprintendenza dichiara che i Comuni presentano alcune difficoltà nell’interpretare correttamente “norme che afferiscono a diverse fattispecie contenute nel Decreto Lgs. 42/2004, in relazione alla applicazione del DPR 31/2017 (Regolamento recante individuazione degli interventi esclusi dall’autorizzazione paesaggistica o sottoposti a procedura autorizzatoria semplificata)“
Da questo momento gli uffici del Comune di Civitavecchia rigettano nuove richieste di OSP (occupazione di suolo pubblico) per installazioni esterne, richiedono la procedura di autorizzazione dell’art. 21 D.Lgsl 42/2004, per “qualsiasi modifica” ricadente su aree pubbliche, piazze strade e altri spazi aperti, pubblici da almeno 70 anni.
Il SUAP modifica la procedura di rinnovo delle Installazioni esterne richiedendo la dichiarazione di esistenza o meno del vincolo di bene culturale ex lege, in contrasto con quanto indicato nel regolamento approvato dal Comune stesso e che voleva una semplice certificazione che nulla fosse cambiato e diverso da quanto autorizzato. Non solo, la modifica pone tutti i soggetti aventi un’installazione esterna autorizzata, nelle condizioni impossibile di poter procedere ex post ad una procedura di autorizzazione dell’art. 21, D.Lgsl 42/2004, obbligando automaticamente tutti a dover smontare le strutture autorizzate esistenti a fine anno.
Facciamo a questo punto la fotografia della situazione.
La Soprintendenza richiama il Comune di Civitavecchia sulla inadempienza dei propri uffici che, come scrive, “presenterebbero alcune difficoltà nell’interpretare correttamente le norme…”. Un eufemismo per dire che gli uffici sbagliano. Detto in modo chiaro, la Soprintendenza sta comunicando agli uffici del comune di Civitavecchia che questi non stanno richiedendo la necessaria procedura dell’art. 21 del D.Lgsl. 42/2004, per “qualsiasi modifica” richiesta su aree pubbliche, strade, piazze ed altri spazi aperti, pubblici da almeno 70 anni.
Per avere un’idea della zona interessata dal vincolo, entro la quale è obbligatorio dall’anno 2004 richiedere l’autorizzazione del soprintendente prima di eseguire opere e lavori di qualunque genere, vi dovete immaginare la città di Civitavecchia esistente nel 1949 (ndr. Settanta anni da oggi). Qui di seguito una foto aerea del 1943, solo 6 anni prima.
(Foto aerea1943)
Si vede chiaramente che tutta la città al di sotto della strada Aurelia è compresa nel vincolo, così come le strade principali al di sopra della Aurelia come via Terme di Traiano, via Matteotti, via A. Montanucci, oltre alle aree del Comune di Civitavecchia non visibili nel fotogramma ma esistenti.
Risulta chiaro che circa 100/150 attività commerciali sono interessate dal problema creato dagli uffici comunali che ha autorizzato tutte le occupazioni di suolo pubblico senza richiedere la procedura dell’art. 21 D.Lgsl. 42/2004.
La politica, informata, tace.
Non viene certamente da loro una azione dirimente e nemmeno il tentativo di conciliare la situazione creata ed autorizzata, distinguendo le vecchie dalle nuove richieste di installazioni esterne, per evitare i danni economici all’anima del commercio cittadino.
Proviamo ora a dettare la soluzione.
Dobbiamo introdurre un altro elemento fondamentale nel discorso Installazioni esterne, precisamente l’articolo 52 del Decreto 42/2004, Esercizio del commercio in aree di valore culturale e nei locali storici tradizionali.
Al comma 1 si legge:
“Con le deliberazioni previste dalla normativa in materia di riforma della disciplina relativa al settore del commercio, i comuni, sentito il soprintendente, individuano le aree pubbliche aventi valore archeologico, storico, artistico e paesaggistico nelle quali vietare o sottoporre a condizioni particolari l’esercizio del commercio”.
Come si legge, i comuni, sentito il soprintendente, devono individuare le aree pubbliche che secondo loro devono avere un regolamento per l’esercizio del commercio.
Nel 2017 in seguito al Dpr. 31/2017 (ndr. Legge Madia per la semplificazione delle autorizzazioni paesaggistiche) la Direzione generale, Archeologia, belle arti e paesaggio, invia la Circolare n. 42, interna ai propri uffici, esplicativa per l’applicazione del Dpr 31/2017 (vedi pag. 29)
Alla pagina 29, si legge “A.16-A.17 – applicabilità delle tipologie di “interventi liberi” previsti nelle voci A16 e A17 (ndr. installazioni esterne) nei centri storici e nelle aree sottoposte a vincolo paesaggistico, aventi valore archeologico, storico, artistico e paesaggistico in caso di mancata individuazione delle aree ai sensi dell’art. 52 del Codice (ndr. Dlgsl 42/2004)
La Direzione generale risponde che, “relativamente agli interventi previsti nelle voci in esame (A16 A17) e alla questione se, in caso di mancata individuazione delle aree ai sensi dell’art. 52 del codice, nei centri storici e nelle aree sottoposte a vincolo paesaggistico, aventi valore archeologico, storico, artistico e paesaggistico, la tipologia degli interventi ivi previsti debba considerarsi liberalizzata, si rappresenta che la risposta al quesito non può che essere affermativa (nel senso della comune applicabilità, anche in tali casi, delle liberalizzazioni in questione).
E continua: L’art. 52 del Codice prevede che i Comuni, con le deliberazioni previste dalla normativa in materia di riforma della disciplina relativa al settore del commercio, sentito il Soprintendente, individuano le aree pubbliche aventi valore archeologico, storico, artistico e ambientale nelle quali vietare o sottoporre a condizioni particolari l’esercizio del commercio. L’inerzia comunale (ed eventualmente quella della Soprintendenza, che non abbia inteso adottare le necessarie prescrizioni di tutela indiretta o idonei contenuti regolativi dei vincoli diretti gravanti ex lege – ex art. 10, comma 4, lettera g) – del Codice – sulle pubbliche piazze, vie, strade e altri spazi aperti urbani di interesse artistico o storico, aventi più di settanta anni), non può certo tradursi in una limitazione dei diritti dei soggetti di fruire delle misure di semplificazione e di liberalizzazione introdotte nell’ordinamento giuridico.
In conclusione, se il Comune e la Soprintendenza si svegliano nel 2019, quindi dopo 15 (quindici) anni dal 2004, senza aver dato seguito a quanto richiesto dall’art. 52 del Decreto Lgsl. 42/2004, forse stanno agendo contro la legge, contro il buon senso.
Credo che un’amministrazione che avesse a cuore il proprio commercio dovrebbe quanto meno ricercare soluzioni non dirompenti e a danno dei commercianti stessi ma a vantaggio degli stessi.
Forse ci si dovrebbe domandare come mai i rappresentanti della soprintendenza e degli uffici comunali si aggirino da mesi per le piazze storiche e i luoghi pubblici vedendo le installazioni esterne per loro abusive ma da luglio, non abbiano dato seguito ai propri doveri ed obblighi d’ufficio con il ritiro delle autorizzazioni in autotutela.
No, non è perché sono persone buone o perché vogliono fare ai commercianti il favore di mantenere aperte le attività. Comunque fosse andata, nessuno avrebbe chiuso prima della fine dell’anno.
La triste verità è che gli uffici comunali deputati al controllo del territorio hanno rilasciato ed autorizzato sempre in violazione di legge e soltanto 15 anni dopo l’approvazione del Codice del Paesaggio si sono svegliati e solo con l’arroganza del potere.