Le contro-riforme si protraggono anche sotto l’ombrellone ed in pieno Agosto, quasi a sobbarcare di lavoro (per chi ci crede) un Governo multipartitico quanto monocolore, retto da un giovane rottamatore che tanto piace alla finanza e ai mercati, nonostante le agenzie di rating continuino a declassarci e la BCE ci tiri periodicamente per le orecchie. La sintonia coi “poteri forti” è proprio una delle caratteristiche che maggiormente fortifica questo Governo ma lo rende allo stesso tempo distaccato dal consenso popolare e trasversale di cui godrebbe, e da quel 41% frutto di quelle europee di cui ancora fa vanto. Una maggioranza fatta anche di pacche sulle spalle e sorrisi ottimisti (solo ad Hollywood i miliardari sono depressi), dai baci della Boschi coi leaders della destra, dalla larga sintonia con manager, clerici, finanzieri e commendatori, ma fatta anche di tante “x” di operai, pensionati e precari stregati dal concetto di “voto utile”, o magari ammaliati dagli occhioni della Boschi, la quale in mutande ti ci lascia senz’altro, ma da solo. O comunque non con lei. Sicuramente fa riflettere quell’intesa con Mario Draghi, di cui Renzi avrebbe detto “ad avercene come lui…”. Solo che Draghi giorni addietro parlava di “cessione della sovranità nazionale” e della “essenzialità delle riforme per l’Italia se si vogliono attrarre investimenti”. Subito dopo però rettificava per assicurarci che si trattava di due questioni diverse e che tra i due concetti non c’è alcuna consequenzialità. E’ curioso notare anche il miglior apprezzamento ricevuto da Matteo Renzi alla cena di gala con i big della finanza milanese, serata bancaria alla ricerca di fondi durante la campagna elettorale 2012: “Finalmente c’è uno di sinistra che non demonizza il capitale e che non ha letto Marx”… Un motivo ci sarà. E intanto l’opposizione (la volontà di mettere la parola tra virgolette è stata intensa) che rappresenterebbe in teoria un quarto dell’elettorato o giù di lì, è miope ed inetta nelle analisi politiche sul medio e lungo termine e incapace nella costruzione di un’opposizione popolare che metta l’accento sulla conflittualità sociale. Insegue gli “sprechi”, anche a scapito della rappresentatività elettiva e popolare (si pensi a Province e Senato), demonizza giustamente gli sperperi e la corruzione per la salvezza delle sorti del Paese (giustissimo e sacrosanto, quanto miope limitato), ma così facendo fa un assist a Matteo il rottamatore, il quale ha una risposta a tutto, anche a questo… Per il compianto Berlinguer si è fatto a gara per chi doveva rivendicarselo, con Grillo che arrogava concetti come: “siamo noi la vera sinistra ormai!”, con Renzi che rispondeva a tono: “ma non scherziamo proprio! Berlinguer è roba nostra”. Intanto però la “vera sinistra penta-stellata” e il Grillo nazionale si guardano bene dal resuscitare i valori della lotta di classe, che sarebbero sempre più legittimati dal vecchio slogan ”aumenta la crisi aumenta la lotta!”. Anziché indire infatti uno sciopero generale a settimana, piuttosto si decide di salire sui tetti del Parlamento o si propone un’ iscrizione al blog, affinché anche il “cyber-prolet” o la casalinga di Voghera possano dire la loro a colpi di clic, che poi verranno puntualmente ignorati dalla verve oltranzista e dispotica di Grillo, all’occorrenza mascherata da una comicità per la quale tutto è lecito. Dunque è ormai appurato e decretato con trasversalità bipartisan che il sempre più discusso art.18 della Legge 300/1970, sia considerato un cosiddetto “totem”. Ma è un “totem da abbattere immediatamente” perché dannoso per il nuovo vento di riforme che soffia sul Paese , come suggerisce il vice-Premier Alfano, oppure l’art.18 è solo un “totem ideologico ed un simbolo” per il quale ora non varrebbe neanche la pena con ‘sto caldo di stare a discutere se abolirlo o meno, come dice Matteo Renzi? Ci sono da fare le riforme, quindi Renzi rilancia la posta e si spinge oltre: “lo Statuto dei Lavoratori lo cambiamo noi”. Certo che l’art.18 sono quisquilie, mica nel 2014 un Governo di centro-sinistra può perder tempo nella strenua difesa di questi capisaldi “ideologici” e “retro-veteran”… Chi Marx lo ha letto (a differenza di Matteo che era impegnato col Manuale delle Giovani Marmotte) sa bene che il capitalismo passa con uno spasmo agonizzante da uno stadio produttivo ed industriale ad una fase prettamente finanziaria e manageriale, si ristruttura comprimendo salari ed occupazione. Ma allo stesso tempo cerca invano di ricostruire la domanda per sostenere l’offerta. Tutto ciò in un crescente indebitamento pubblico e privato scaricato sullo Stato. Senza scomodare i maestri del socialismo basterebbe citare solo Fernand Braudel quando descrive “l’autunno del capitalismo nella sua fase finanziaria”. Marx, lettore di Balzac, afferma che agli occhi di coloro che vivono di rendite finanziarie “il denaro acquista la proprietà di creare valore in modo del tutto naturale come dal pero nascono le pere”. Altro che crisi, è un impasse! Ormai il capitale si ingegna nella “creatività” della finanza. Non si lotta certo più per diminuire l’orario di lavoro di un surplus produttivo, semmai si lotta per ottenerlo un posto di lavoro, dato che la produzione è praticamente ferma. E invece, detto ciò, Alfano ci insegna che per aumentare la “competitività delle imprese” bisogna dare la libertà di licenziare i propri dipendenti, in modo da dare slancio all’impresa e consentirgli di assumere offrendo occupazione ai giovani. Ma ci sono un paio di concetti basilari che non tornano. Innanzitutto la riforma Fornero lascia una foglia di fico al posto di quelli che erano i risarcimenti ad un lavoratore licenziato senza giusta causa, per quel tempo intercorso tra il licenziamento e la data dell’udienza. In secondo luogo la suddetta riforma Fornero combinata con questa abrogazione dell’art.18 così esposta (e così l’hanno esposta!) si preannuncia come una vera e propria “nemesi” verso le categorie di lavoratori più avanti con gli anni, condotti dall’”esodo” di Forneriana memoria, verso un vero e proprio oblio. E senza voler mettere paura a nessuno, sia inteso… Ora, non credo che un concetto espresso dal vice-Premier Alfano meriti più di tante elucubrazioni, basterebbe fermarsi alla prima domanda che di getto, mossa da un impulso di semplicità contadina, ti balena in mente, per capire con che calibro di giuslavoristi ed esperti di economia ci si sta confrontando. In termini pratici, secondo Alfano (e Renzi), un’azienda che per essere più “competitiva” chiede di licenziare 300 dipendenti, una volta eseguita la mattanza (a fin di bene, non pensate male!) ne riassumerà altri 600 e tornerà più forte e “competitiva” di prima, anche se raddoppiata nel numero di dipendenti? Quelli che prima erano esuberi ora sono invece essenziali e preziosi pilastri della produttività aziendale? Quando queste persone ci propongono il binomio “competitività-occupazione” mentono sapendo di mentire, perché ben sanno che la parola “competitività” è da intendersi relativamente ai mercati e che tale binomio viene decantato nella più banale ed ingenua delle concezioni industriali post-fordiste. Dobbiamo veramente credere che siano tutti così “ingenui” o che si stiano allegramente facendo burle di chi lavora da una vita? La grande azienda (parliamo di grandi numeri) si vede rivalutata e appetibile sui mercati proprio quando è snellita nella sua “obsolescenza strutturale”, cioè i suoi dipendenti. Non prendiamoci in giro: se a dei licenziamenti seguiranno delle assunzioni, non avverranno certo a parità di condizioni contrattuali e salariali, questo è poco ma sicuro. Ormai siamo abituati a “guerre per la pace”, “bombe intelligenti” , eutanasiche missioni umanitarie, perniciosi sacrifici lavorativi, e quant’altro, in un mix vorticoso di ossimori nell’ineluttabilità di un “male necessario” divenuto quasi fisiologico. Perché non bersi anche questa? Licenziare per aumentare l’occupazione, rendere GIUSTO il licenziamento per INGIUSTA causa. Ecco perché quell’attacco di megalomania da Premier in cui Matteo sbotta in: “andremo oltre l’art.18” e a seguire: “lo riformiamo noi lo Statuto dei Lavoratori!”. Bonanni e Angeletti si dicono in gran sintonia con ogni tentativo di “semplificazione”, ma con le dovute attenzioni, Landini è la valvola di sfogo che probabilmente trattiene gli iscritti CGiL dalla volontà di tritare la tessera dopo i “se” e i “ma” della Camusso. E a tal proposito vorrei ricordare alla compagna Susanna che i licenziamenti per motivi disciplinari (spesso costruiti ad arte) sono in vorticoso aumento, e che la riforma dell’art.18 andrà a pregiudicare pesantemente l’organizzazione sindacale e aziendale stessa agitando lo spauracchio del licenziamento. E questo possiamo immaginare come si rifletta sulla attività di RLS, delegati o attivisti sindacali e chiunque abbia da obiettare in merito a questioni di ambiente e sicurezza, organizzazione del lavoro e del personale ed altre mille problematiche aziendali. Mi rendo conto che ho pretese assurde, e che questi signori probabilmente potrebbero guardare a sinistra solo se gli si chiedesse l’ora, visto che da quella parte gli è rimasto giusto l’orologio, forse… Foto di Giulio Santoni©