John Ronald Reuel Tolkien, (Bloemfontein, 3 gennaio 1892 – Bournemouth, 2 settembre 1973), è stato scrittore, glottologo, filologo e linguista britannico.
La via prosegue senza fine
Lungi dall’uscio dal quale parte.
Ora la via è fuggita avanti,
Devo inseguirla ad ogni costo
Rincorrendola con piedi alati
Sin all’incrocio con una più larga
Dove si uniscono piste e sentieri.
E poi dove andrò? Nessuno lo sa.
La storia de “Il Signore degli Anelli” la conosciamo un po’ tutti, un gruppo di nove persone: un Nano, un Elfo, uno Stregone, due Uomini e quattro Hobbit, intraprendono un viaggio, supportati dai rispettivi popoli, per distruggere il male, incarnato da Sauron e dal suo Anello del Potere, che sta minacciando l’equilibrio, la pace e l’armonia della Terra di Mezzo.
Il Signore degli Anelli, come tutta la produzione tolkeniana, nasce per due motivi: il primo è l’amore , che gli fu trasmesso dalla madre, per la “lingua” e per i “miti”. Questo amore lo portò ad inventarne una, l’elfico, per la sua creazione si ispirò al finnico e al latino, per l’intonazione e la musicalità all’ “old english” e all’italiano. Il secondo è la volontà, ambiziosa, di colmare un vuoto presente nella cultura britannica; la mancanza di una propria mitologia. La mitologia britannica è fatta di piccole storie, non sono presenti vere e proprie saghe, anche quella più importante, Re Artù, è originaria della Francia e dell’Italia. Questi sono i due motivi principali che hanno spinto Tolkien ad ideare e scrivere della Terra di Mezzo. Obiettivo al quale lavorò per tutta la vita e morì senza riuscire a portare a termine il suo lavoro.
Il suo amore per la lingua trasuda da ogni pagina, ogni piccolo particolare non è lasciato al caso, nemmeno i nomi. Basta pensare ai nomi del popolo di Rohan, i signori dei cavalli; il termine eoh, nell’ old english significa cavallo, i personaggi hanno tutti questa radice nei loro nomi, per esempio: Eowyn, che significa gioia per il cavallo; Eomer, che significa signore dei cavalli. Usa sapientemente la lingua anche per indicare i concetti, i Ringwraith – Spettri dell’Anello – sono l’incarnazione del male, a mio avviso, meglio riuscita in letteratura. Tolkien vedeva il male come vuoto e mancante di una vita indipendente, rimanda più ad una forma che ad una sostanza, i Ringwraith sono vuoti, non hanno una forma propria e dipendono in tutto e per tutto da Sauron e dall’Anello e basta pensare alla radice della wraith e collegarla ad altre parole inglesi: Wrath – Rabbia, Wreath – Spirale, Writhe – Contorcersi, tutte parole che indicano una forma o un’emozione e Tolkien sembra dirci che nessuno può sentirsi escluso, tutti possediamo anche questa forma che possiamo o non possiamo riempire.
Il romanzo non è un’allegoria, come molti credono, dei fatti della seconda guerra mondiale, Tolkien stesso ci spiega che non aveva nemmeno in simpatia il concetto di allegoria, secondo lui, l’allegoria, appartiene al dominio dell’autore. Preferiva le storie, vere o inventate, che il lettore può applicare facilmente alla sue esperienza. Questo concetto di “applicabilità” è ciò che ha reso immortale il romanzo. Forse per questo motivo per tutta la seconda metà del novecento è stato il libro più letto dopo la Bibbia, culture totalmente opposte a volte anche antagoniste possono rispecchiare le loro esperienza nel romanzo, ad esempio è uno dei pochi libri di cui l’Opus Dei permette la lettura.
Il Signore degli Anelli è un classico perché tocca i punti più profondi dell’esistenza umana, si interroga sulle ragioni e sui perché del nostro agire. E’ il romanzo della speranza, dell’amicizia, della lealtà, dell’eroismo, del coraggio, del bene e del male, del rispetto della natura e delle persone.
Tutti possiamo fare il male, l’anello rappresenta il male in sé, ed è applicabile al concetto di potere. L’anello, come il potere, è capace di scatenare il male dall’interno e dall’esterno. La maggior parte delle persone vorrebbe il potere, anche per fare il bene, ma può creare dipendenza e porta solo il male quando è così, se la via dell’inferno è lastricata di buone intenzioni, Saruman e Boromir ne sono l’esempio eclatante, Saruman il Saggio era buono, diventerà Saruman il Multicolore infettato dal male, Boromir, partendo dalla buona intenzione di salvare il suo popolo, tenterà di uccidere Frodo, suo compagno, per impossessarsi dell’anello, il potere ha infettato anche lui e morirà nel tentativo di porre rimedio al suo errore. Da quale potere ci siamo lasciati infettare?
E’ il romanzo della coscienza ecologica, Tolkien è vissuto in un’epoca in cui ci sono stati grandi cambiamenti, ha visto l’espansione urbana uccidere la natura, violentare i paesaggi e infettare la terra e l’acqua, non approvava affatto il concetto che la natura debba essere al servizio dell’uomo, secondo lui la natura deve coesistere con l’uomo. Come non dargli ragione? Il fumo della centrale ce lo ricorda ogni momento. La Terra di Mezzo stessa è un personaggio con una sua coscienza e una sua volontà, la cui massima espressione è l’ultima marcia degli Ent, i pastori degli alberi, che distruggeranno la fonte dell’infezione, la Torre di Orthanc dove Saruman, distruggendo la foresta alimenta le sue macchine infernali con un unico scopo: assoggettare con la forza gli uomini liberi. Purtroppo gli Ent non esistono, non possiamo sperare in un loro risveglio, ma noi possiamo essere Merry e Pipino; se non fosse stato per loro gli Ent non sarebbero mai intervenuti, sono stati i sassolini che hanno innescato la frana.
E’ il romanzo dell’amicizia e della lealtà. Nove persone diversissime tra loro, anche nemici, tra elfi e nani non scorreva buon sangue, nel momento in cui hanno un obiettivo comune, nel momento del bisogno, riescono a cooperare, la loro diversità diventa un punto di forza, i talenti di ognuno sono sfruttati al massimo, così usciranno da ogni traversia. Cooperano in armonia tant’è che alla fine l’amicizia più salda si rivelerà quella tra l’elfo e il nano. Si sono conosciuti, hanno compreso e appreso le loro diversità, superando l’odio e la diffidenza secolare.
E’ il romanzo dell’eroismo. Tolkien era un veterano e sapeva benissimo cosa sono capaci di fare le persone comuni, di quali grandi atti di eroismo, perché la gente comune è forse quella che ha il cuore più puro, è quella meno infettabile, non a caso Frodo, un Hobbit, popolo sconosciuto ai più, è l’unico in grado di portare l’anello e compiere la missione più difficile, non tanto quella di distruggerlo, ma resistere al suo potere. Frodo è l’esempio che si può avere coraggio senza essere coraggiosi, perché spesso il coraggio è confuso con atti eclatanti, il coraggio più grande è invece portare avanti il proprio obiettivo con perseveranza, nonostante i momenti di scoramento, la stanchezza e le difficoltà. Frodo, in questo senso, è un grande eroe, ma l’eroismo di una persona sola non basta, senza il coraggio dei suoi compagni, il loro supporto, i loro singoli atti eroici, il loro cooperare per il bene comune, Frodo non avrebbe mai potuto portare a termine il suo compito. E noi cosa aspettiamo? Non è forse il nostro obiettivo quello di vivere meglio tutti, opponendoci con forza e compatti a chi ha cuore solo il suo potere personale e non il bene comune?
E’ il romanzo della speranza. Nel racconto tutto è incerto, proprio come lo è nostra vita, il nostro futuro, questa incertezza non dobbiamo vederla in un’accezione negativa, ma è un grande punto di forza, perché ci fa essere consapevoli che ogni nostra scelta può plasmare il nostro futuro, renderlo migliore o peggiore, se a muoverci è una speranza senza garanzie, senza garanzia di successo o di insuccesso. C’è speranza in un mondo disperato, disperare non è un concetto sbagliato, disperare è semplicemente un errore, la disperazione se la può permettere solo chi conosce il futuro, nessuno di noi è in questa posizione, per fortuna, quindi lasciarsi andare alla disperazione è un grave errore. Se lasciamo che la speranza e il coraggio guidino le nostre azioni, se superiamo le nostre diversità ed operiamo uniti per il bene comune, non c’è motivo di temere nulla, non sussiste più il motivo del non agire, non esiste più motivo per essere passivi e non plasmare il nostro futuro.
Elen sila lumenn omentielvo
Foto di Enrico Paravani©