Il Capo Politico del Movimento si dimette pochi giorni PRIMA di una drammatica sconfitta alle regionali (ed in Calabria non avrebbe voluto concorrere affatto, probabilmente perché aveva letto le proiezioni), andando tra l’altro ad incidere sui risultati del M5S in maniera negativa.
Dimettersi prima delle elezioni: un ulteriore errore strategico guidato dall’amore per la propria immagine?
Forse, ma è indubbio che non possa essere la nomina di Vito Crimi (nomina: non elezione, si badi bene) la via di uscita dalla picchiata che il M5S ha intrapreso. Un fedelissimo dello stesso Di Maio, nominato dall’alto e senza passare da Rousseau e con il probabile compito di fare da capro espiatorio alle scelte sbagliate dallo stesso Di Maio.
Errori su errori, basati su un modello culturale oligarchico e diametralmente opposto a quello professato.
Della gestione Di Maio il problema non è infatti la persona del Di Maio stesso, ma l’incapacità di incidere efficacemente sulla deriva del Movimento di una intera classe dirigente (altro che “uno vale uno”) che ha generato una squadra di intoccabili con ben pochi meriti. Una squadra che ha messo personaggi come Marta Grande a Presidente della Commissione Esteri o Roberta Lombardi al vertice del M5S regionale, avversando con metodi non sempre democratici il già Ministro della Difesa Elisabetta Trenta o altri personaggi “scomodi”.
Come reagire adesso? Il M5S ha urgente bisogno di un carro attrezzi che lo riporti alle origini, alle posizioni intransigenti che hanno fatto sognare gli elettori e ad una maggiore attenzione alle amministrazioni locali, dalle quali può nascere la rivoluzione culturale tanto professata e che sono l’immagine del Movimento a contatto con gli elettori.
Contro il potere servono anticorpi, per un francescanesimo della politica che non può restare un semplice spot elettorale. L’alternativa è apparire indistinguibili dalla “concorrenza” (o divenirne una succursale).